Falce e Martello
Nel bel mezzo di una pandemia che si è accanita contro i nostri nonni, quella generazione di italiani che ha vissuto la guerra, tornano attuali quei valori di libertà e di appartenenza che hanno contraddistinto la Resistenza italiana, quella fatti di tantissimi uomini e donne, militari, medici e infermieri, sacerdoti e suore che si sono opposti, spesso anche a costo della vita, all’occupazione nazifascista.
Ricordare la Resistenza significa offrire un messaggio di speranza per il futuro. A pochi giorni dal 25 aprile, vorrei ricordarla percorrendo con voi questo sentiero che si insinua nelle pieghe dei nostri monti e ci riporta indietro nel tempo, sino a quel 20 novembre 1944, quando, sulle alture di Covale, furono catturati i partigiani “Falce” e “Martello”. Ma chi erano “Falce” e “Martello”?
Due inseparabili fratelli, Renato e Floriano Pellegrini, legati dagli stessi ideali antifascisti, comunisti convinti a tal punto che i compagni della 53^ Brigata Garibaldi gli assegnarono i nomi di “Falce” e “Martello”. Il passo successivo fu breve: aderirono alla Resistenza e si aggregarono alla “Tredici Martiri” sotto la guida del comandante Brasi.
Divisi per opportunità ed assegnati a due diverse squadre partigiane, la loro separazione durò ben poco: nell’ottobre 1944 il comandante Brasi cedette “alle ragioni dell’affetto dei fratelli” lasciando che “Falce” e “Martello” tornassero a combattere insieme.
Neppure un mese più tardi, rifugiatisi a Covale dove riuscirono ad evitare uno scontro a fuoco con i fascisti, fuggendo pochi minuti prima dell’arrivo delle camicie nere della Tagliamento, rendendosi conto che un compagno non era stato avvertito, tornarono indietro incrociando i fascisti. Nel corso del breve scontro a fuoco furono catturati.
“Tradotti nelle carceri di Lovere, furono torturati e condotti al cimitero per essere fucilati. Mentre venivano portati sul luogo dell’esecuzione, si misero a cantare “Bandiera Rosa”, lasciando i fascisti sbigottiti per tanta audacia e ispirando ammirazione e commozione tra la gente. Morirono abbracciati gridando viva la Libertà.” [Giuseppe Brighenti, autobiografia]
Avevano solo vent’anni, erano cresciuti in fretta, e sapevano da che parte stare!
Descrizione del percorso
Lasciata l’autovettura nel parcheggio presente a metà del viale Sette Colli in Bossico, proseguiamo a piedi lungo la strada asfaltata che, in leggera pendenza, fiancheggiando la storica Villa Aventino, raggiunge l’azienda agrituristica 5 Abeti, in località Monte di Lovere.
Proseguiamo verso sinistra, e poi subito a destra, lungo la sterrata che marcando la sua pendenza risale sino al Forcellino di Bossico, incrocio di sentieri che conducono anche al Rifugio Magnolini.
Imbocchiamo a sinistra il sentiero che, dopo un breve strappo in salita, raggiunge il “Cadì de la pest”, un piccolo edificio, oggi restaurato dal Gruppo Alpini di Bossico, che secondo una leggenda giunta sino ai giorni nostri servì come luogo di rifugio per quei pochi bossichesi che si salvarono dalla peste che colpì il nord Italia tra il 1629 ed il 1633.
Il sentiero prosegue nel bosco ancora per poco e raggiunti i prati soprastanti l’abitato di Bossico, piega nettamente a destra e risale la panoramica dorsale che in meno di venti minuti ci consente di raggiungere la nostra prima vetta, quella del monte Colombina, a quota 1459 metri di altitudine.
Il bellissimo panorama sulla Corna Lunga ed i prati di Possimo, sulla Corna Trentapassi ed il lago d’Iseo ma anche, in lontananza, verso Golem e Presolana, ci invita a fermarci e a godere di quell’azzurra lontananza che non ha confini se non quelli della nostra immaginazione.
Riprendiamo il cammino proseguendo lungo il sentiero che corre sulla dorsale erbosa e poi discende ripido nel fitto del bosco sino a raggiungere la località di San Fermo, con la caratteristica chiesetta bianca dedicata al protettore degli animali.
Proseguiamo alle spalle della chiesetta con direzione Songavazzo. Il sentiero, indicato come segnavia 556 CAI, è ora una larga sterrata che, attraversati alcuni bei pascoli, risale più stretta infilandosi nel fitto bosco sino a raggiungere le pendici del monte Torrione riguardo al quale, in pochi minuti, è possibile raggiungerne la vetta.
Riprendiamo il segnavia 556 CAI che volge verso Songavazzo: ora in leggera discesa e a volte dal fondo sconnesso, il sentiero fiancheggia una staccionata che delimita il bosco da una bellissima e curata distesa prativa. È il pascolo di Sfessa Alta, a quota 1200 metri di altitudine, all’interno del quale troviamo una prima cascina, quella più in alto, che un tempo era la base della squadra partigiana “Andreino” mentre più in basso troviamo la cascina dove vennero catturati i fratelli Pellegrini, “Falce” e “Martello“. Una piccola targa ricorda quel triste epilogo.
Lasciata alle spalle le due cascine, proseguiamo lungo la strada ora bitumata; poche decine di metri e, all’altezza della prima curva a destra, abbandoniamo la bitumata per imboccare a sinistra la traccia che scende brevemente e si immette su un sentiero più evidente.
Proseguiamo verso sinistra e, usciti dal bosco, scendiamo lungo i prati nei quali è adagiata una baita ormai diroccata; pieghiamo ancora a sinistra e seguendo il sentiero che continua in falsopiano, raggiungiamo la “Riserva parco naturale dei daini”.
Fiancheggiamo, lasciandola a destra, la recinzione metallica della riserva naturale, sino a giungere all’ingresso del parco dove inizia la sterrata che volge verso Bossico. Lasciamo a destra la deviazione verso le 3 Santelle e continuiamo lungo questo tratto che ricalca il sentiero Flavio Tasca.
Raggiunta la chiesetta degli Alpini concediamoci l’ultima sosta. L’anello escursionistico è giunto quasi al suo termine ma anche questo luogo merita la nostra attenzione: la chiesetta, fortemente voluta da Don Giacomo Mognetti, sacerdote nativo di Bossico scomparso prematuramente nel 1985, ricorda i Caduti di tutte le guerre.
Ripartiamo seguendo la sterrata che con pochi sali scendi diviene quindi acciottolata; proseguiamo a sinistra seguendo direzione Pernedio e fiancheggiamo alcune belle baite ed un’azienda agricola. Raggiunta la sottostante strada selciata, pieghiamo nettamente a sinistra incamminiamoci verso Monte di Lovere. La strada selciata riprende ora in leggera salita sino a quando, poco oltre, spiana la sua pendenza e ritorna sterrata, raggiungendo la località Monte di Lovere dalla quale, dopo quasi quattordici chilometri, potremo far ritorno al punto di partenza.